Nettuno Porto e Borgo

Nettuno Porto e Borgo

sabato 11 ottobre 2014

Quelli che scrivono, quelli che parlano e quelli che annuiscono

Quelli che scrivono, quelli che parlano e quelli che annuiscono.
Spesso sono la stessa persona ma attenzione a quando non sono la stessa.
Lo affermo da interessato poiché in "ambe-tre" le figure mi riconosco.
E mi rendo conto che tali inevitabilmente rimangono pur convergendo o meglio cercando di convergere in una stessa identità e personalità.
Il problema infatti è nella conciliazione.

C'è chi aspira a tal gloria.
C'è chi appunto la ripudia.
E c'è chi fa lo "gnorri" o meglio il "paraculo".

Scrivere non è semplice ma è una grande arte perché anche nell'ignoranza, come nella sofisticazione culturale, l'ingegno dello scrivere si cela nella confidente interpretazione la quale primeggia al di là di ogni oggettività razionale o soggettività sociale.
Primeggia, infatti, la capacità di apparire altro da ciò che siamo o potremmo essere o in effetti non saremo mai.
Scrivere è quindi rischiosa finzione.

Ma scrivere è anche profonda riflessione ed emersione del proprio Io.
Quell'Io che, libero da ogni tabù, riesce ad esprimere il suo istinto ed intimo essere, senza ostacoli od occlusioni dovuti all'oppressione di una socialità per certi versi asfissiante.

Per questo il confine tra lo scrivere ed il parlare rischia di essere un ponte sospeso sul nulla, poiché le forze per sorreggere una tale congiunzione e coniugazione coinvolgerebbero uno spessore di personalità che non sempre si riesce a sostenere. Che non sempre riesce ad essere all'altezza della realtà stessa cui inevitabilmente ci si deve confrontare.

In altri termini, parlare "direttamente" ad un'interlocutore o ad una platea non è certo scrivere nella solitudine dei propri pensieri.

Il rischio, pertanto, non è solo quello di essere fraintesi ma soprattutto vilipesi, offesi, tendenzialmente portati a confondersi o apparire confusi, influenzati, spaesati.

Parlare in pubblico necessità di una solida dose di autocontrollo, disciplina e fermezza che tradiscono sovente la spontaneità ma che permettono al tempo stesso una certa concretezza che la parola scritta non contiene.

In poche parole, anche parlare in pubblico rischia di essere altrettanta finzione.

La soluzione sembrerebbe allora apparire o emergere nel silenzio.

In quel Silenzio e da quel Silenzio in cui si formano coacervi di interrogativi ed esclamativi che tutto avvolgono e nulla trattengono o esplicitano.

Nella congrega sociale moderna, la sintesi del silenzio è infatti l'alter ego dell'ammissione o negazione tout court, agevolata dal tacito assenso partecipativo magistralmente espresso nel muto consenso o dissenso.

Il gioco di parole volutamente forzato si presta bene alle dinamiche passive in cui il meccanismo del silenzio-assenso appunto la fa da padrone.
Annuire è pertanto un ruolo passivo che travalicherebbe ogni senso di partecipazione cognitiva.

Attenzione, però, perché l'annuire non sempre è espressione di inetta remissività od ingorda avidità umana... più raramente quanto fatalmente è sintomo di una personalità che sa' aspettare.

Una personalità forte come un cobra, spietata come un avvoltoio, tattica come uno scorpione.

Una personalità che attende, apparentemente sorniona, il tempo di agire e quindi colpire...

Un Colpire in Maniera Estremamente Letale!

(Elmoamf)

venerdì 10 ottobre 2014

Spezzo una lancia, affinché il linciaggio non raggiunga nessuno...

Spezzo una lancia, affinché il linciaggio non raggiunga nessuno...
Pare, si dice, sembra, si discute, qualcuno giustamente interviene e sollecità, qualcuno pesantemente sottolinea o accusa, altri legittimamente si pongono la questione... sul fatto o meno che una determinata testata pressoché on-line svolga ruolo di parte (politica) e non quello corretto d'informazione.
L'interrogarsi è lecito, il presupporre è altrettatto libero.
E ciò poiché nel solco della Costituzione: giustizia e libertà rappresentano specifici cardini del viver civile e comune.
Ma l'accusare, il diffamare o il delegittimare sono tutti soggetti a precisi (sempre si spera naturalmente) codici, leggi e normative.
Percui è d'obbligo, in ogni occasione, tener presente la gravità, relatività o preponderanza giuridica delle proprie affermazioni.
Ciò premesso, il mio intervento vuole essere il più aperto possibile, nella misura in cui ci si accinga a richiamare ognuno alla propria coscienza, non solo di divulgatore partecipe alla realtà sociale ma soprattutto d'informatore consapevole.
Non si può fare informazione senza ritenere che il proprio lavoro sia effettuato in totale spirito di servizio.
Poiché il rischio maggiore, in tali casi, è quello appunto di svolgere un ruolo clientelare:
Per se stessi;
Per il Boss di turno;
Per l'ideologia dominante cui ingenuamente ci si è sposati... mani e piedi.

Diversamente, il ruolo dell'informatore acritico dovrebbe, a mio stretto avviso, essere proprio il ruolo dell'osservatore super partes fortemente critico.
Perché?

Perché criticare senza aver paura di perdere, senza aver nulla da perdere... ribadisco nulla... è un mestiere che in pochi si possono permettere.

Ognuno di noi soffre o è soggetto alle proprie debolezze.
Ma al cospetto della propria coscienza, volenti o nolenti, si è costretti comunque a fare i conti con se stessi.
Se poi tali conti si riesce a farli pagare a qualcun altro...
E sia!
Ognuno ne risponderà probabilmente al creato.. nella speranza poi o magari che non risponda o faccia lo "gnorri".

Di fronte alla realtà, di fronte ad una tale realtà così infida e ondivaga, siamo però tutti possibili vittime del predatore di turno.
Un predatore spietato che non farà ostaggi o martiri ma solo cadaveri.

In quest'ottica, informare per servire una comunità o informare per sollevare dalle responsabilità... è cosa ben diversa.
Soprattutto quando si rischia con la seconda opzione di fare il gioco di alcuni che di quelle responsabilità si son fatti interpreti e per tal motivo sono assurti (grazie ad un evidente appoggio - popolare o di altra natura) all'attenzione o direzione o gestione di determinati interessi, spesso di natura pubblica.

Altrettanto diversa è la natura di un'accusa: se essa sia frutto di un'apprezzabile regola deontologica capace di constatare l'effettiva sostanza degli elementi alla base della sua origine o quando questa sia unicamente frutto di un malumore intimamente, vagamente o etereogeneamente ed esternamente condotto e controllato.
Sono due fattori, due elementi, ben diversi e probatori, socialmente quanto giuridicamente rilevanti.

E' per tal motivo che spezzo una lancia.
Poiché, fino a parola contraria, vi è la presunzione d'innocenza penalmente e costituzionalmente garantita.
L'etica non è materia giurisprudenziale, pertanto può per certi versi derogare ad una determinata prassi.
Ma l'etica giornalistica come quella politica e sociale, a prescindere da ogni legge o quieto vivere, dovrebbe far parte di quel corpus di virtù capaci di animare lo spirito umano.
Ogni spirito che si accinga a fare i conti, appunto, con la propria libera coscienza ossia con il proprio libero arbitrio.

Ognuno di noi è libero di raccontare favole o crude realtà o realtà edulcorate, emotivamente indotte o naturalmente sentite, a seconda delle proprie necessità, predisposizioni o ambizioni.
Al tempo stesso, ognuno di noi, presto o tardi, si trovera costretto a tirar le somme della prorpia attività umana.
In quel frangente (probabilmente ognuno giustamente confida) si avrà ogni possibilità di verificare tutte quelle criticità che ora contraddittoriamente appaiono come superficiali.
Vaghe od inopportune intromissioni esterne o sollecitazioni indesiderate.
Riconoscimenti o disconoscimenti di gradi conquistati con diritto o arroganza o sopruso o merito sul campo.

La natura della vita cela spesso la sua reale identità in quanto ogni natura è frutto più che altro di umani dubbi e perplessità.

E' per questo che "Auguro" ad ognuno un estenuante quanto sano esame di coscienza!

Elmoamf

venerdì 3 ottobre 2014

Affondiamo con parsimonia

Affondiamo con parsimonia perché non siamo in grado di essere all'altezza degli eventi.
Evidentemente!

Ed allora affondiamo con discrezione.
Senza farci notare e possibilmente senza dare fastidio.
Senza apparire od essere eccessivamente importuni nei confronti di nessuno.
Anzi, senza esserlo affatto e basta!

Per non urtare la sensibilità di chi suo malgrado si sente in diritto di sentenziare appunto contro tutto il creato. E di chi contestualmente si sente offeso semmai chiamato negativamente in causa su questioni di fondo... intempestivamente e sconvenientemente sulle stesse sollecitato.

Sarebbe certamente "bello" se ogni sentenza o affondo riuscisse a colpire senza far male ad alcuno...

Ahimé non è possibile!

Perché come ogni sentenza è frutto di un giudizio spesso intransigente o giuridicamente inappellabile, così ogni affondo è frutto di un azione spesso istintiva, istintivamente investigativa, difficilmente contrastabile... nella sua spietata incisività come nella sua imprescindibile volontà "probatoria" e "requisitoria".

Ed allora affondiamo giustamente, si fa per dire naturalmente, con parsimonia.
Perché non siamo in grado di essere all'altezza o dello spessore degli eventi.
Evidentemente!
Non siamo in grado di essere nella capacità, nella consapevolezza e nel coraggio delle proprie opinioni e presunzioni!

Presunzioni?

E' sì, perché ogni opinione è presunzione di realtà e non realtà effettiva.
Ogni opinione è ipotesi, è tesi, è antitesi è... in ultima istanza: Ipofisi!
Ossia ghiandola plenaria di numerose argomentazioni speculative e/o operative, dai sofisticatissimi intrecci umani ed ancor più esistenziali.
Sparsi o sperduti tra sindromi e complessi spesso intangibili quanto oggettivamente soffocanti.
In questioni che, inevitabilmente, coinvolgono aspetti: civili, sociali, politici, economici ed emergenziali... ossia tutte quelle inevitabili ed ulteriori realtà, identità o difficoltà in cui ci si trova spesso nella necessità (anche se non in grado o all'altezza) di assumere, desumere, interpretare o passivamente subire una palese e sostanziale iniquità rispetto a tutto ciò che intorno ad essa sia stato capace di coagularsi.

Ogni realtà, identità o difficoltà immaginabile ed inimmaginabile... puzza ineffabilmente di perversa iniquità!

E questo perché, probabilmente, il sopruso o meglio l'arroganza dello stesso è la misura delle opere buone che ogni individuo si sente in dovere di elargire, come manna o peggio ancora come grazia divina, alla connivente, colpevole e collusa, società.

Parole dure le mie.
E sì!
Perché se del senno di poi son piene le fosse (come asseriva qualcuno) del vantaggio odierno sulla connivenza delle masse ad un certo "Ce So Fa" son colmi i social network come le liste di proscrizione.

Che i debiti si paghino nell'assunzione di responsabilità!
E non nella gogna mediatica opportuna e fine a se stessa o meglio... fine al "Signorotto" di turno.

Se di affondi insistentemente vogliamo vivere... o al limite perire... che sian fatti per costruire una comunità più solida di bravi cittadini e non una solida connivenza di coesi malfattori!

Ad maiora!

Elmoamf